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Contraffazione e italian sounding: danni all’agroalimentare made in Italy

Katia Laura Sidali: “Dop e Igp, le armi migliori contro la contraffazione alimentare e vitivinicola”

Il Parmigiano Reggiano, il Grana padano, la mozzarella di bufala campana, i pomodori di Pachino, i limoni di Amalfi per rappresentano solo una parte del ricco patrimonio agroalimentare  italiano, fiore all’occhiello per il Belpaese in termini di qualità, unicità, e ricercatezza che derivano dalla tradizione e dall’esperienza di processi produttivi lunghi secoli. A fare da contraltare al pregio dei prodotti tipici della tavola italiana sono i fenomeni della contraffazione e dell’imitazione. Etichette, package, denominazioni, immagini che richiamano in modo palese l’Italia, ingannando i consumatori, togliendo mercato ai prodotti originali e violando i diritti dei lavoratori.  A parlarne, in un’intervista all’agenzia di stampa Dire, Katia Laura Sidali, professoressa associata del Dipartimento di Economia Aziendale all’Università di Verona, nell’ambito del progetto ‘We all say NO’, coordinato da Adiconsum in collaborazione con l’Agenzia Dire, finanziato dall’EUIPO – Ufficio europeo per la proprietà intellettuale.

Contraffazione ed italian sounding sono in crescita esponenziale, quali sono i danni economici causati al settore agroalimentare italiano?  

“Dalle ultime statistiche tratte dal sito di Adiconsum, il giro di affari della contraffazione agro-alimentare si aggira su un valore di 500 milioni di euro. Parliamo di 60 miliardi di euro annui di contraffazione, di cui il 10% riguarda proprio l’imitazione di un prodotto di marca. La restante parte, fa riferimento all’Italian Sounding che si traduce nell’appropriazione indebita del valore aggiunto di un marchio, in cui vengono messi in campo tutta una serie di stratagemmi per usurpare e capitalizzare la reputazione che, nel caso del Made in Italy, deriva da tecniche affinate di generazione in generazione”. 

Che tipo di danni arreca il mercato del falso agro-alimentare ai consumatori? 

“Il numero delle tecniche di lavorazioni illecite è ampio e la contraffazione è pericolosa, sia dal punto di vista economico, perché lede l’immagine di un’azienda, sia in termini di salute pubblica. Un vino con l’aggiunta di alcool etilico o di conservanti illegali, l’olio di semi spacciato per extravergine di oliva con l’aggiunta di additivi illegali o, ancora, l’aggiunta di fecola per aumentare il peso del formaggio non minano solo l’alta qualità dal punto di vista del gusto. In primis, è senz’altro un danno al benessere del consumatore”. 

Quali sono le eccellenze italiane più colpite dall’italian sounding? 

“Le nostre eccellenze, tra cui: il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, la mozzarella di Bufala, i sughi, la pasta, l’olio d’oliva, i vini. Ma il prodotto italiano più imitato all’estero è l’aceto balsamico di Modena”.   

Quali sono le strategie messe in atto per tutelare i prodotti italiani? 

“La Dop (denominazione di origine protetta) e l’Igp (indicazione geografica protetta) sono le armi migliori contro la contraffazione alimentare e vitivinicola. Grazie all’introduzione della Dop, che permette un elevato livello di tracciabilità e di sicurezza alimentare, la vendita di un prodotto falso viene subito bloccata, anche sul mercato estero (per quei Paesi che riconoscono questo tipo di certificazione). Tuttavia, ci sono azioni che seppur legali, sono di complessa risoluzione dal punto di vista del diritto internazionale e da quello etico.  

Può darci qualche esempio? 

“Nel 2012 il consorzio Grana Padano si infuriò e minacciò di boicottare la fiera Cheese, evento organizzato ogni due anni da Slow Food, per aver invitato anche Gran Moravia, un formaggio di grana, realizzato dalla ditta veneta Brazzale, in Moravia (Repubblica Ceca). Cheese ospita le eccellenze alimentari nell’ambito della catena lattiero- casearia e riveste un ruolo importante nella promozione e diffusione sana del Made in Italy, soprattutto dei piccoli produttori che, magari, non possono permettersi di iniziare il percorso di certificazione della Dop. Il Gran Moravia non è una imitazione tesa a fare concorrenza alla corazzata delle Dop italiane con un prodotto di qualità inferiore e a prezzi ridotti, bensì un prodotto con know-how, imprenditorialità, esperienza padano-venete, che, tuttavia, utilizza il latte di mucche morave. E’ stato formalmente legittimo invitare l’azienda Brazzale. Tuttavia, mi chiedo se è etico che il presidio Slow Food, arbitro di autenticità, abbia fatto sedere accanto ai grandi consorzi, spesso vittime di contraffazioni, un’azienda italiana delocalizzata E’ un esempio di pratica che ha scaturito un dibattito. Cheese era la sede giusta per il Gran Moravia?”. 

Ci sono le altre azioni messe in campo contro il prodotto venduto illecitamente come italiano? 

Il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali fa di tutto per abbattere l’italian sounding e per combattere la contraffazione. Nel 2015, insieme all’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha creato “The Extraordinary Italian Taste”, un segno distintivo unico del made in Italy agroalimentare che viene affiancato a marchi consortili, del biologico, come marchio ombrello delle eccellenze italiane. Una buona pratica, ma non scevra da criticità. I consumatori, sempre più attenti all’origine dei prodotti, soffrono di sovraccarico cognitivo, troppi loghi, troppi marchi, troppe certificazioni sullo stesso prodotto tendono a creare quello che nel marketing viene definito ‘consumer fatigue’. 

Le nostre ricette vengono esportate all’estero per la promozione delle nostre eccellenze.  

Come avviene la diffusione del sapere agroalimentare italiano? 

“All’estero, vengono realizzati programmi di insegnamento delle tecniche di produzione delle specialità italiane. Io stessa ho conosciuto un casaro italiano, co-finanziato dallo Stato italiano, per insegnare ai casari della Nuova Zelanda la preparazione della ricotta. Una conoscenza che darà i suoi frutti: verrà lavorato un prodotto simile alla ricotta e che avrà un altro nome. Tuttavia, potrebbe esserci chi approfitta della tecnica di lavorazione appresa per immettere sul mercato un prodotto contraffatto.  E’ giusto esportare anche il nostro sapere, tuttavia molti agenti economici vorrebbero chiarimenti legali, per capire fin dove lo Stato italiano possa arrivare ad educare sull’esportazione di tale sapere. E’ un problema di proprietà intellettuale, i brevetti non possono essere applicati alle ricette e ai metodi di applicazione ed è per questo difficile da proteggerle. Sarebbe importante creare un dibattito continuo ed una comunicazione trasparente sulle azioni del ministero per insegnare i nostri metodi di lavorazione all’estero da accompagnare a misure sanzionatorie in caso di pratiche illecite”.

2022-04-20T10:30:11+02:00