Il desiderio di trovare forme di vita extraterrestri caratterizza parte della ricerca spaziale e popola i sogni di milioni di persone, affascinate dall’idea di un incontro come quello immaginato da Steven Spielberg in E.T.
La vita di cui sono a caccia gli scienziati è però molto diversa da quella personificata dal tenero extraterrestre di celluloide. La ricerca punta ai mattoncini base della vita: idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto. Individuato un pianeta roccioso che forma un sistema con una stella simile al nostro Sole, parte l’analisi dell’atmosfera per trovare traccia di questi elementi. Ma non è così semplice.
Trovare evidenze di questi mattoncini così indispensabili non si traduce nella garanzia che quel pianeta sia adatto per ospitare la vita. E’ su questo aspetto che hanno lavorato i ricercatori della Washington University, servendosi del Virtual Planetary Laboratory, una struttura universitaria collegata alla Nasa e che dal 2001 si occupa dell’abitabilità degli esopianeti.
LE NEWS
– Terrore in Scozia, esplode meteora in cielo
– Le misteriose stelle di tipo ‘O’
– Un grande rigonfiamento sul fondo del Golfo di Napoli
– Scott Kelly è tornato sulla Terra, il gemello lo attende
Il team di studiosi ha elaborato un metodo per identificare ed escludere le false tracce biologiche in pianeti lontani. Significa che trovare ossigeno, per esempio, nell’atmosfera di un esopianeta non significa automaticamente che quell’ossigeno abbia la stessa origine del nostro, e quindi non basta per eleggere ad abitabile quel mondo remoto e sconosciuto.
I ricercatori si sono concentrati su elementi che tradiscano la presenza di questi impostori delle tracce di vita. Ecco come si sono comportati.
Sappiamo che sul nostro pianeta l’ossigeno è frutto della fotosintesi clorofilliana, attraverso cui le piante convertono la luce del Sole in energia. Questo significa che se si trova ossigeno sulla Terra questo è indissolubilmente legato alla vita. Fuori dai confini del nostro pianeta, però, le cose cambiano. Ci sono alcuni mondi che producono ossigeno anche in assenza di vita. Succede soprattutto nei casi di quei pianeti che orbitano intorno a stelle più piccole e meno luminose del nostro Sole.
La prima situazione di presenza di ossigeno e assenza di vita che gli scienziati hanno rilevato si è verificata quando hanno osservato nella luce stellare ultavioletta separarsi molecole di anidride carbonica, che hanno liberato atomi di ossigeno uguali a quelli terrestri. In un secondo momento i ricercatori hanno utilizzato dei modelli computerizzati della condizione osservata da cui è emerso che non solo veniva prodotto ossigeno, ma anche monossido di carbonio. Di conseguenza se nell’atmosfera di un pianeta roccioso si rilevano contemporaneamente tracce di monossido di carbonio e di anidride carbonica, è lecito il sospetto che l’ossigeno eventualmente individuato non sia quello compatibile con la vita.
Inoltre il team di Washington ha individuato anche un altro indicatore di ossigeno ‘impostore’. Quando l’acqua dell’atmosfera si scompone, in alcuni casi l’ossigeno che si libera è in quantità estremamente elevata, dando luogo a collisioni frequenti tra molecole analoghe generando quindi molecole con quattro parti di ossigeno. Quando queste vengono individuate dovrebbero suggerire che non sono state create biologicamente e che quindi non hanno a che fare con la vita.
Si tratta di strategie che permettono di tarare la caccia ai pianeti abitabili, focalizzandosi solo su quelli che hanno tracce di ossigeno associato alla vita ed escludendo tutti gli altri, risparmiando così tempo ed energie. In proposito la principal investigator del Virtual Planetary Laboratory, Victoria Meadows, ha spiegato che “un conto è individuare degli elementi, un altro è capire esattamente cosa si sta guardando. Questa ricerca è importante perché i falsi elementi biologici sono più comuni per quei pianeti orbitanti intorno a stelle con poca massa”, cioè esattamente i primi luoghi in cui si indaga per trovare vita extraterrestre.
Terrore in Scozia, esplode meteora in cielo
Momenti di paura in Scozia, quando una probabile meteora è esplosa nell’atmosfera, emettendo un bagliore talmente forte da tramutare la notte in giorno. La palla di fuoco ha emesso un suono assordante prima di sparire in cielo, lasciando dietro di sé una scia bianca. Da Inverness a Edimburgo, migliaia di persone hanno raccontato di una luce bianca, rossa o blu che ha illuminato il cielo intorno alle 06:45 del 29 febbraio. I testimoni hanno descritto un boato della durata massima di dieci secondi prima che la presunta meteora spazzasse via l’oscurità rilasciando una luce bianca e luminosa.
Le misteriose stelle di tipo ‘O’
L’European Southern Observatory ha diffuso l’immagine di alcune nubi di gas rossastro illuminate da stelle rare e massicce che si sono accese solo recentemente e sono ancora sepolte nel profondo di spesse nubi di polvere. Queste stelle caldissime e giovanissime sono apparizioni fugaci sul palcoscenico cosmico e la loro origine è ancora misteriosa. La nebulosa in questione è RCW 106, una nube tentacolare di gas e polvere a circa 12.000 anni luce da noi, nella costellazione del Regolo. Le stelle ‘sepolte’ lì possono avere una massa fino a molte decine di volte la massa del Sole e non è chiaro come possano raccogliere, e mantenere unito, abbastanza gas per formarsi. Sono note agli astronomi come stelle di tipo ‘O’ e sono molto difficili da studiare: nessuna di quelle attualmente esistenti è abbastanza vicina per poterne osservare, nel dettaglio, il comportamento.
Un grande rigonfiamento sul fondo del Golfo di Napoli
Tecnicamente si chiama ‘duomo’: è un rigonfiamento sottomarino con associate emissioni gassose. Nel Golfo di Napoli lo hanno individuato per la prima volta i ricercatori dell’Istituto per l’ambiente marino costiero e di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e del Dipartimento di scienze della Terra dell’Università di Firenze, durante i rilievi della campagna Safe 2014 a bordo della nave oceanografica Urania del Cnr. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Scientific Reports-Nature. Il ‘duomo’ è stato localizzato nel Golfo a una distanza di circa 5 km dal porto di Napoli e 2.5 km da Posillipo, la collina che si affaccia sullo specchio di mare davanti alla città. La scoperta rappresenta un punto di partenza importante per la comprensione dei fenomeni vulcanici sottomarini in zone costiere.
Scott Kelly è tornato sulla Terra, il gemello lo attende
L’astronauta statunitense Scott Kelly è tornato sulla Terra dopo essere rimasto quasi un anno sulla Stazione spaziale internazionale. La sua permanenza si è protratta esattamente per 340 giorni. Nel ritorno a casa gli hanno fatto compagnia il russo Mikhail Kornienko- anche lui a bordo per quasi un anno- e il cosmonauta Segrei Volkov. Ma c’è un dettaglio a rendere speciale la missione di Kelly: il 52enne ha infatti un fratello gemello, rimasto sulla Terra. Dopo l’atterraggio nella steppa del Kazakhstan, inizieranno i test per evidenziare le differenze tra i due, così simili eppure segnati da esperienze nettamente diverse.