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Io, Tu, Me

Rachele Nigi Scuola Secondaria di primo grado "Pieraccini" di Firenze

Avevo bisogno di un consiglio, avevo bisogno di una persona che mi ascoltasse.
Ma non doveva essere una persona qualunque, doveva essere una di quelle persone che fosse capace di capire veramente i miei stati d’animo. Forse chiedevo troppo: riuscire a comprendere cosa mi stesse accadendo era davvero difficile.
Parlare, confidarmi mi avrebbe fatto stare sicuramente meglio. Ma in quel momento c’ero solo io. Sola con i miei pensieri.
“Qualche volta non è poi così male stare da soli, ascoltarsi un po’ per darsi ragione e ad arrossire dei propri pensieri inconfessabili” riflettevo.
Quello però non era uno di quei momenti: avevo bisogno di sfogarmi. Avevo bisogno di lei, di quell’amica che conosceva tutto di me e che ogni volta che ti guardi indietro ti appare sorridente, affacciata ai tuoi ricordi: i ricordi dei giochi di quando eravamo bambine, dei piccoli segreti svelati, dei giorni passati al mare tra tuffi, corse sulla spiaggia, delle interminabili chiacchierate nelle notti insonni dei pigiama party e di quelle piccole conquiste come le prime passeggiate fatte da sole con la paura di perdersi.
Ci incontrammo, lei ed io. Le raccontai tutto. E mentre parlavo, spiegavo, raccontavo e tentavo di liberarmi di quel peso che mi portavo dentro, lei mi guardava senza interrompermi. Non ricordo bene, forse mi chiese qualcosa… Ero troppo concentrata su di me; volevo che mi capisse, che ascoltasse tutto, tutti i particolari.
“Hai sbagliato!” mi disse.
Fu come ricevere un pugno dritto nello stomaco che mi lasciò senza parole. Forse fu peggio, perché le parole spesso fanno peggio, lasciano segni più profondi.
Non capivo il perché di una risposta tanto dura. Ero come stordita: guardavo il suo viso che mi appariva spento, quasi offuscato. Lei spiegava ma non riuscivo a sentire alcun suono, se non un fastidioso ronzio. Ci lasciammo. Mentre camminavo nervosamente, pensavo tra me e me.
“Tu che sei sempre stata l’amica che ho voluto accanto nei momenti importanti, oggi mi hai delusa. Non hai capito… forse non mi hai mai capita. Mi sono illusa, io mi fidavo di te!”
Davo la colpa alla gelosia.
“Tu sei gelosa di me! Io ti ho raccontato qualcosa che apparteneva solo a me e tu adesso ne riderai e forse lo userai contro di me… Tu che eri una parte di me… Sei adesso soltanto una di quelle false amicizie che in fondo pensano solo ai propri interessi”.
Da quel giorno non le parlai più. Passò del tempo. Avevo fatto di tutto per scacciare da me il ricordo di quell’incontro. Poi accadde qualcosa che mi fece capire che le decisioni che avevo preso erano sbagliate. Fu difficile ammettere che aveva ragione lei. Cercai mille scuse per giustificare il mio sbaglio. Io che finalmente, per la prima volta, ero sicura di aver fatto la cosa giusta. Io che cercavo… Io che volevo…
Mi arrampicavo con tutta me stessa sul quel “io che…”, stavo scivolando giù fino a ritrovarmi affogata in un mare, nel mio mare di certezze. Io che pensavo di aver bisogno di un consiglio, volevo soltanto conferme e approvazioni per sentirmi più forte e sicura di me. Avevo parlato e ero rimasta imprigionata nelle mie parole, ma non ero riuscita ad ascoltare. Sorda e muta di fronte a parole che non erano le mie.
Incapace, inerme, sopraffatta da quelle stupide certezze. Io che non avevo permesso a me stessa la possibilità di capire che si può cambiare idea, se si è disposti ad ascoltare. Mi sarei risparmiata quella delusione. Perché spesso i falsi amici non sono gli altri, ma noi stessi.
Saper ascoltare ci rende migliori e liberi. Ascoltare ma liberando la testa da quel ronzio che distrae, che offusca i visi, la visione delle cose. Trovai il coraggio.
“Io ho sbagliato mentre tu avevi ragione. Grazie… Tu che sei stata in questa occasione veramente la parte migliore di me!”
Ridemmo… io, tu, me.

Rachele Nigi
Classe 2B – Scuola Secondaria di primo grado “Pieraccini” di Firenze

2016-07-14T11:04:00+02:00