Tiangong-1
si stima che la Tiangong-1 possa precipitare sulla Terra. Per quanto riguarda l’area in cui potrebbe cadere non ci sono indicazioni precise, se non la fascia, amplissima, compresa fra il 44esimo parallelo nord e il 44esimo parallelo sud, costituita in gran parte da oceani e deserti, ma che comprende anche zone degli Stati Uniti, del Brasile, dell’India, della Cina e dell’Italia centro-meridionale, a partire dall’Emilia Romagna.
In base alle stime, quindi, l’Italia dovrebbe essere al sicuro, gli esperti hanno ridotto allo 0,2% le possibilità.
Ma che cos’è la Tiangong-1? E’ la stazione spaziale cinese lanciata il 29 settembre 2011 dal centro spaziale di Jiuquan nel deserto del Gobi su un’orbita circolare, ad un’altezza di apogeo di 344 km, la distanza che c’è fra Roma e Firenze. La stazione spaziale ha una dimensione complessiva di poco più di 10 metri, pesa 8500 chili, più di tre elefanti africani delle foreste adulti, e ha orbitato intorno alla Terra ad una velocità di 7,5 km/secondo fino al marzo 2016 quando ha smesso di inviare i dati, terminando ufficialmente la missione di laboratorio spaziale. Ma il suo successore, il Tiangong-2, è già in orbita dal 2016.
Ma perchè da oltre due anni la stazione spaziale cinese sta perdendo progressivamente quota?
Il palazzo celeste, in mandarino Tiangong, avrebbe dovuto finire la sua corsa nella cosiddetta South Pacific Ocean Unpopulated Area, una specie di cimitero dei satelliti in una zona pressochè deserta dell’Oceano Pacifico meridionale.
Il 16 marzo del 2016 il centro di controllo a terra ha perso la capacità, pare in maniera irreversibile, di comunicare e impartire comandi al veicolo spaziale. Come ha spiegato anche Claudio Portelli, dell’Agenzia spaziale italiana, “i cinesi avevano previsto una quota di propellente adatto per il rientro controllato, ma a un certo punto, a marzo del 2016, non sono più riusciti a comunicare o a trasmettere comandi correttamente alla stazione. La stazione è in attesa di ricevere l’input. Un input che non arriverà mai”.
Il rientro della stazione spaziale lo stanno monitorando numerosi soggetti, pubblici e privati, in tutto il mondo, Italia compresa. In primis il tavolo tecnico coordinato dal Dipartimento della Protezione civile.
Il laboratorio di dinamica del volo spaziale dell’Istituto ISTI del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), a Pisa, attivo in questo settore dal 1979, da molti mesi ormai analizza l’evoluzione orbitale dell’oggetto ed elabora autonomamente previsioni di rientro distribuite a enti nazionale e internazionali. Il 26 marzo si è tenuto un incontro del Tavolo Tecnico, presso la sede operativa del Dipartimento della Protezione civile con l’Agenzia Spaziale italiana.
Esistono anche cinque sensori in Europa: due francesi, uno tedesco, uno spagnolo e uno italiano in Sardegna. Nonostante questo non è possibile prevedere con esattezza dove cadrà la stazione spaziale. Gran parte dei satelliti che rientrano nell’atmosfera lo fanno da orbite basse quasi circolari, si muovono cioè quasi tangenzialmente rispetto agli strati atmosferici di densità crescenti. Piccole variazioni di questo angolo possono produrre traiettorie ben diverse, un po’ come succede quando tiriamo un sasso nello stagno.
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Oltre a questo ci sono da considerare la grande velocità, l’attività solare e geomagnetica che influiscono sulla densità atmosferica e l’orientazione nello spazio dell’oggetto che non è costante, ma può evolvere in maniera spesso imprevedibile.
Solo nelle ultime 36 ore potremo iniziare a escludere progressivamente delle aree del pianeta sempre più vaste, via via che ci si avvicina al rientro, sperando di eliminare alla fine più del 97% delle aree inizialmente considerate a rischio.
I frammenti in grado di sopravvivere alle proibitive condizioni del rientro precipitano su un’area di forma approssimativamente rettangolare, lunga dagli 800 km ai 2000 km, per dare un termine di paragone le distanze rispettivamente fra Torino e Napoli e tra Palermo e Budapest, e larga 70 km.
I frammenti macroscopici sarebbero al massimo qualche decina, con proprietà diverse, e colpirebbero il suolo molto sparpagliati, a distanze di decine o centinaia di km gli uni dagli altri. Mentre i frammenti più pesanti tenderebbero ad allontanarsi di più dal punto di rientro a 80 km di quota, ma colpirebbero il suolo prima degli altri, nel giro di 6-7 minuti, a una velocità confrontabile con quella di un’auto di Formula 1 in rettilineo.
I frammenti più leggeri cadrebbero invece più vicini, ma ci metterebbero una ventina di minuti e colpirebbero il suolo a una cinquantina di km/h.
Quindi le possibilità che possiate essere colpiti dal Palazzo celeste sono minime, ma se uno di voi si trovasse davanti ad uno dei frammenti si consiglia di non toccarlo, mantenendosi ad una distanza di almeno 20 metri. Infatti alcuni detriti soprattutto quelli di grandi dimensioni potrebbero contenere idrazina, una sostanza corrosiva e altamente tossica usata come propellente per i veicoli spaziali.