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Religioni in campo contro la violenza sulle donne

Presentato al Miur il progetto 'Not in my name'

ROMA – Non solo nel passato, non solo in territori e culture distanti. Da sempre le religioni sono utilizzate per giustificare la violenza sulle donne. Un fenomeno in cui stereotipi di genere e di credo si fondono provocando un grave problema sociale. Nasce per scardinare questi pregiudizi il progetto ‘Not in my name’, presentato questo pomeriggio a Roma al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Un programma formativo in cui associazioni ebraiche, cattoliche e islamiche si uniscono per dare un’unica risposta al problema della violenza sulle donne, partendo dall’educazione delle giovani generazioni. “Abbiamo deciso tutti insieme di metterci in campo contro la violenza sulle donne, per chiarire che la fede non può essere avocata per giustificarla- commenta in apertura Livia Ottolenghi, assessore Scuola, Formazione e Giovani dell’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane)- Nel corso dei secoli le religioni non sono state amiche delle donne, e proprio da questa consapevolezza dobbiamo ripartire”.

Il progetto, rivolto ai ragazzi delle classi terze della scuola secondaria di secondo grado, intende portare un messaggio positivo proprio a partire dal nucleo fondante di ciascuna delle tre tradizioni religiose. “Il nostro è un atto necessario- dichiara Aisha Lazzerini, coordinatrice del comitato scientifico Coreis (Comunità Religiosa Islamica)- assistiamo sempre più spesso alla strumentalizzazione religiosa per giustificare la violenza sulle donne. È importante affermare con forza come tutto questo non abbia alcun fondamento nel nucleo delle dottrine religiose. Le donne devono ripensare sé stesse per ripulire incrostazioni culturali stereotipate che si sono stabilizzate. Oggi i religiosi devono restituire un respiro spirituale e operativo, e questo progetto viene fatto insieme alle altre religioni proprio perché le radici dell’odio verso le donne non sono molto diverse da quelle dell’odio religioso”.

Quattro le fasi in cui si sviluppa il progetto: pensare, conoscere, creare e condividere. Grazie a l’uso di metodi di formazione attiva e partecipata, i ragazzi verranno infatti introdotti ai temi della tolleranza e del rispetto, con occasioni di dialogo e confronto con gli esperti di vari ambiti tematici e delle tre religioni monoteiste. “Questo progetto è molto importante a livello educativo perché i ragazzi hanno bisogno di affrontare i problemi di oggi, ci sono grandi lacune educative”, aggiunge Chiara Ferrero, presidente dell’accademia Isa (Interreligious Studies Academy).

Per Marta Rodriguez (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum), invece, “le religioni devono fare un esame di coscienza, perché crediamo di avere tanto da dare ad un mondo oggi molto disumanizzato”. Dopo una settimana di full immersion in programma in tre città (Roma, Milano e Torino), le scuole partecipanti al progetto si incontreranno a Milano per un evento conclusivo in cui i ragazzi presenteranno ad una giuria gli elaborati prodotti dopo l’attività formativa. 

2019-10-11T16:58:29+02:00