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La nuova vita di Spitzer

Spitzer, il telescopio spaziale lanciato dalla Nasa nel 2003, sfugge al suo destino e si reinventa. Da osservatorio di stelle e comete si trasforma in cacciatore di esopianeti

30 Ottobre 2013
Il momento della pensione arriva anche per i telescopi. Di solito gli scienziati, spesso a malincuore, staccano la spina a sonde e satelliti a fine carriera, e di loro si perdono le tracce per sempre. Stavolta la storia è un’altra: Spitzer, il telescopio spaziale lanciato dalla Nasa nel 2003, sfugge al suo destino e si reinventa. Da osservatorio di stelle e comete si trasforma in cacciatore di esopianeti.

Per 120 mesi Spitzer si è dedicato all’esplorazione dello spazio profondo sulle frequenze dell’infrarosso. Anche gli esopianeti, cioè quei pianeti, lo ricordiamo, che orbitano intorno a una stella diversa dal Sole e quindi sono fuori dal nostro sistema, emettono luce infrarossa, che il telescopio è in grado di catturare e di utilizzare per carpire i segreti della composizione della loro atmosfera. Quando l’esopianeta ruota attorno alla sua stella mostra differenti regioni della superficie alla camera di Spitzer, e i cambiamenti complessivi della luminosità che il telescopio osserva possono dire molto sul clima di quel pianeta. Ma mentre lo studio della formazione delle stelle e degli ambienti in cui i pianeti si formano sono sempre stati una pietra miliare dell’attività del telescopio della NASA, il suo lavoro sugli esopianeti è una novità assoluta, che va molto oltre le sue impostazioni iniziali. Ma che cosa è accaduto? Gli scienziati hanno riadattato il progetto di Spitzer, che risale al 1996. Un’epoca in cui nessun passaggio di esopianeta era mai stato rilevato. 


Spitzer, a sua insaputa, era stato costruito per il futuro. Tra le sue caratteristiche ci sono infatti quella di avere un controllo eccellente in caso di variazioni impreviste di temperatura e un sistema ottimo per individuare le stelle. Di fatto, si tratta di un equipaggiamento che va molto al di là dei bisogni inziali per cui Spitzer era stato lanciato. Sono proprio le caratteristiche richieste a chi studia gli esopianeti. Una delle apparecchiature in questione è un sistema di raffreddamento passivo che è indipendente dalle scorte di gas refrigerante caricate alla partenza e che ormai si sono esaurite. E’ un sistema di radiatori che si trovano in una posizione tale per cui non vengono mai esposti all’irraggiamento. In questo modo si può dissipare il calore prodotto dalle strumentazioni e mantenerle alla temperatura operativa di -29°C. Ma queste intuizioni dai risvolti imprevedibili non sono le uniche che hanno contribuito a trasformate Spitzer in quello che è oggi. 


Nell’ottobre del 2010 gli scienziati, da Terra, sono riusciti a ridurre di metà un’oscillazione conseguente all’accensione uno dei riscaldatori. L’ampiezza dell’oscillazione era modesta, eppure in grado di compromettere l’osservazione di corpi celesti distanti migliaia di anni luce. Il lavoro teleguidato ha modificato le modalità di accensione e ridotto di molto gli scossoni. L’anno successivo, era il 2011, è stata la volta del riassetto del sensore di puntamento. Si tratta di una camera che posiziona la luce catturata all’interno di uno spettrometro e permette, così, di effettuare delle calibrazioni di routine per rendere più efficace la caccia ai corpi celesti. L’approssimazione, in questo modo, è di un quarto di pixel. 


La modifica del sistema dei radiatori, il riassetto del sensore e la profonda caratterizzazione dei singoli pixel hanno raddoppiato la stabilità di Spitzer e la capacità di puntamento, così da dotare il telescopio di quelle qualità necessarie per le misurazioni di esopianeti. "E’ grazie a queste modifiche ingegneristiche Spitzer si è trasformato in un osservatore di esopianeti- spiega Sean Carey del NASA’s Spitzer Science Center al California Institute of Technology di Pasadena. Ci aspettiamo grandi cose per il futuro". 

Il futuro del fotovoltaico passa dalla perovskite
L’uso delle energie rinnovabili passa anche da innovazioni e miglioramenti dei sistemi per il loro sfruttamento. L’ultima novità è legata al fotovoltaico. Utilizzando semiconduttori policristallini con struttura di perovskite in celle solari di nuova generazione è possibile ottenere risultati a basso costo e ad alta efficienza. Il vantaggio sta proprio nell’uso di questo materiale, la perovskite, che fornirebbe prestazioni sorprendenti. E anche a basso costo. Se la stabilità della tecnologia fotovoltaica così concepita sarà migliorata, di fatto ci sarà un concorrente per il silicio, finora utilizzato. La produzione di energia solare potrà così combinare i parametri di basso costo, lunga durata ed alte efficienze.

"Underground: C’è qualcosa che dovresti sapere…”
Da mercoledì 30 a domenica 3 novembre a Casola Valsenio (in provincia di Ravenna), si scende sotto terra. Sono i giorni dedicati a "Underground: C’è qualcosa che dovresti sapere…”, l’incontro internazionale di speleologia per saperne di più su spedizioni nel sottosuolo e reportage dal mondo delle caverne. La 5 giorni è dedicata non soltanto agli speleologi che frequentano le cavità naturali e artificiali, ma anche a tutti gli appassionati di grotte e territori carsici, affascinati dal mondo ipogeo. La manifestazione è l’occasione anche per discutere norme o vincoli di tutela, promuovere azioni di salvaguarda e divulgazione di conoscenza delle aree carsiche.

I versi dei delfini in un algoritmo
Gli umani hanno le impronte digitali, i delfini hanno i fischi che emettono per distinguersi e per riconoscersi. Ma come classificare questi versi? Di solito gli studiosi usano uno spettrografo, cioè un dispositivo che riporta visivamente lo spettro delle frequenze di un suono. Ora, però, c’è un nuovo metodo, messo a punto dai ricercatori del National Institute for Mathematical and Biological Synthesis (NIMBioS). Si tratta di analizzare un algoritmo basato sul codice Parsons, che riesce ad assegnare velocemente ed efficientemente i suoni emessi dai singoli animali. In questo modo si può evitare di raccogliere dati e studiare il modo di comunicare dei cetacei in maniera più rapida ed efficiente permette anche di saperne di più sul modo in cui si relazionano.

La fine dei captcha?
Tutto quello che gli uomini fanno con i propri occhi lo può fare anche una macchina. Questo è l’obiettivo dei ricercatori di Vicarious, una startup che si muove nel campo dell’intelligenza artificiale. Tanto per cominciare hanno creato un dispositivo in grado di interpretare i Captcha, i codici di sicurezza (spesso odiati dagli utenti perché indecifrabili) che permettono di distinguere una macchina da un essere umano. Riproducendo il funzionamento del sistema visivo umano sono riusciti ad andare a segno nel 90% dei casi, lavorando non sulle debolezze dei Captcha, ma cercando di mitigarne i punti di forza. In futuro un sistema simile può servire, per esempio, per aiutare servizi come Google street view a leggere numeri e le scritte, ma può avere applicazione anche nel campo della diagnostica medica.

2018-06-05T17:29:23+02:00