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Mi appello a voi per poter avere un punto di vista esterno sulla mia situazione…

Non c'è nessun fatto che ha caratterizzato la mia esistenza in modo particolarmente negativo...

30 Maggio 2013

Salve 🙂
Mi appello a voi per poter avere un punto di vista esterno sulla mia situazione. Non c’è nessun fatto che ha caratterizzato la mia esistenza in modo particolarmente negativo facendo eccezione per tasti un po’ più dolenti che si collocano cronologicamente nella mia infanzia e nella mia prima adolescenza. Nel primo caso ho avuto esperienza di maltrattamenti da parte delle maestre che ho avuto per un anno nella mia classe alla scuola materna (presumo che per questo tuttora temo reazioni violente dagli altri, anche dai miei cari in modo ingiustificato) e nel secondo ho subito, durante gli anni delle medie, da parte di alcuni dei ragazzi della mia classe continuamente degli appellativi, delle definizioni e dei trattamenti affatto spiritosi, semplicemente perché avevo un aspetto meno piacevole delle altre ragazzine della mia stessa età… non credo di essere stata traumatizzata da questi eventi ma mi hanno spinta, presumo, alla sottostima di me, alla diffidenza e alla tendenza di isolamento dal mondo esterno. Alle superiori, poi, la mia socializzazione è migliorata ma non ai livelli ‘normali’, quelli che per me si raggiungono quando si ha, anno dopo anno, una cerchia di conoscenze sempre più ampia, si cominciano ad avere i primi fidanzatini ecc.. infatti, mentre i miei coetanei facevano "la loro vita" io mi lasciavo sprofondare nello studio del liceo, investendo ogni parte di me e del mio tempo in quei voti che mi rendevano così soddisfatta di me stessa, ma era una soddisfazione effimera e che svaniva con l’avvicinarsi della prova successiva.. con tale atteggiamento volenteroso non facevo che essere sfruttata dal punto di vista scolastico e ignorata e sottovalutata da quello relazionale da quel paio di ragazze che definivo amiche. Col tempo i ritmi scolastici non potevano che velocizzarsi in modo irreversibile, e io avevo una "dignità scolastica" da difendere e mantenere. E’ così che pretendevo da me sempre 100, anche quando potevo dare solo 60. Ma una parte di me, ad un certo punto, ha cominciato a ribellarsi, a comunicare il mio disagio attraverso gli attacchi d’ansia, che sono nati come pianti e si sono evoluti in fiato corto, dolori al petto, allo stomaco, all’intestino.. il tutto solo quando ero di fronte ai miei genitori, come se volessi aumentare il volume della mia richiesta di aiuto per la mia mania di rimanere adeguata a quel modello di ragazza intelligente e volenterosa che tutti associavano a me, come se piangere non bastasse a esprimere il malessere che avevo dentro. Tutt’oggi sento, forse a torto, i miei genitori freddi e persino indifferenti ai miei sguardi tristi e alle mie lacrime. Provo pena per quella che sono stata per tutti quegli anni, per avermi resa vittima di me stessa, per aver ignorato ogni mio bisogno per favorire unicamente la mia reputazione di brava ragazza. Quando non ero adeguata mi odiavo, avevo pensieri stupidi e mi maltrattavo persino fisicamente. Ebbi il mio primo attacco d’ansia con la mia prima interrogazione impegnativa, quella in filosofia, materia in cui, nonostante tutto, non sono andata mai male. Nel giro di due anni la situazione è diventata così insostenibile e incomprensibile che ho voluto che i miei mi mandassero a parlare con uno specialista, uno psicologo. Infatti, parlando e riparlando con i miei l’unica cosa che emergeva è che non aveva senso di esistere il mio comportamento e la mia eccessiva preoccupazione per la scuola. Ma ciò non bastava a cambiarmi. Tutt’oggi i miei genitori continuano a ignorare/voler ignorare le reali cause. La terapia, sulle prime è stata difficile, ho dovuto affrontare problemi che non mi ero immaginata potessero interessare la mia ansia al di là delle esperienze sociali e relazionali negative inizialmente citate; problemi quali la poca attenzione di mio padre, che però non avevo il coraggio di incolpare perchè era stato sempre il primo a dire che non mi dovevo rovinare per la scuola, anche se fiero della mia condotta scolastica; poi c’è stato l’iperprotettivismo di entrambi i miei genitori che non hanno fatto sì che io guarissi dall’attaccamento a mia madre che ho manifestato per tanti anni da piccola cercando di evitare asili, sport di gruppo, colonie estive… Né ciò mi ha aiutata a comportarmi da persona davvero matura di fronte alle difficoltà e agli insuccessi dai quali sono sempre scappata. La danza classica è l’unica attività che ho praticato dai 4 ai 13 anni per la gioia di mia madre e di riflesso anche la mia, che ero ammaliata dai risultati e dai plausi, come a scuola, anche se li pagavo con la fatica, il timore, l’ansia, la concentrazione e l’autocritica.
Per arrivare al punto, alla fine, dopo un sudatissimo ultimo anno scolastico ricco di assenze, ma nonostante ciò andato più che bene, piena delle mie consapevolezze, una volta diplomatami ho scelto di prendermi una pausa di un anno, sia perché assurdamente sempre concentrata sulla scuola avevo ignorato fin troppo me stessa da non capire esattamente cosa volessi dal mondo universitario, sia perché insieme a questo forte impegno ero stata soltanto capace di generare un desiderio di evasione, che mi allontanasse per un po’ da quell’ assurdo modo di vivere, pensare e studiare. Così mentre decidevo di non iscrivermi a nessuna università ho fatto una scelta che sognavo già da un po’ ma non avevo avuto fino ad allora il coraggio di portare a fondo: partire da sola. Sono stata fuori un paio di mesi, lontana da tutti, per studiare un po’ di inglese, in un posto in cui sapevo che avrei dovuto PARLARE e COMUNICARE i miei bisogni.. certo, non ho eccelso nella socializzazione e nella frequentazione di discoteche (che non riesco ad amare come i miei coetanei) ma mi sono sentita comunque soddisfatta e fiera di me. Non ci avrei mai creduto ma una volta là, nonostante non fossi davvero felice, ho avuto addirittura paura di tornare a casa, di non avere un compito quotidiano che non mi facesse sentire inutile ed effettivamente tornata pensavo innanzitutto che avrei goduto di più ammirazione da parte della famiglia per quello che avevo fatto (non so perché questo desiderio) e, invece, ho solo sofferto perché tutte le mie conoscenze erano alle prese con una vita nuova, la vita da studenti universitari, ero invidiosa ma consapevole che una scelta a caso, pur di fare come tutti, non mi avrebbe aiutata un granché. Anche mio padre ci si è messo dicendomi: "non mi sembri così soddisfatta della tua scelta!" Sono seguiti dei mesi difficili, nei quali mi sono chiusa in me stessa ancora più di prima, perché non riuscivo a difendere la mia scelta di fronte a me stessa e i miei cari, mi sentivo diversa, anomala, come sempre. Ho cercato di tacere dei disagi familiari, ma non facevo altro che essere sempre più nervosa, e spesso mangiavo fino a scoppiare, come per supplire a un vuoto che non si colmava mai. D’altra parte non volevo partire ancora, sapevo di non stare bene in famiglia, ma scappare non mi avrebbe resa felice. Ora esco ogni tanto con alcune persone, ho ricominciato soprattutto dopo aver iniziato a frequentare un ragazzo (il secondo in tutta la mia vita), che però ho capito non fare per me.. sto e sono stata bene con queste persone ma spesso sento una distanza che mi mette a disagio che non mi fa mostrare per quella che sono veramente e non sono poi così contenta di uscire spesso con queste. Allo stesso tempo non ho più voglia di starmene sola o chiusa in casa, ho voglia di aprirmi, di farmi vedere.. il problema è che non so come si fa a scegliersi in modo reciproco, a frequentare i luoghi che mi mettano in contatto con le persone che mi interessano e non con quelle che mi convengono o che sono più facili da frequentare. Intanto arriva di nuovo la scelta dell’università che vorrei indirizzare verso psicologia, una materia che mi ha sempre affascinata ma che non conosco affatto ed ho paura che sia "un fuoco di paglia".. tante paure e poche certezze, ma tra queste c’è sicuramente quell’intramontabile voglia di voler bene e farmi voler bene (ma un bene autentico e non di comodità) dai coetanei. Di crearmi un gruppo nuovo ‘al di fuori’. Eppure mi sembra tutto così buio fra chi mi dice che psicologia non mi darà niente (ma a loro non voglio credere, perché nemmeno loro sanno quali siano le scelte migliori) e chi mi consiglia di uscire di più, anche con chi non mi sento a mio agio, anche se sento di dover ancora risolvere dei nodi interni a me e alle mura domestiche. Partire? Accontentarmi? Trovarmi qualcosa da fare per socializzare e star bene con gli altri?…non so più cosa rispondermi né cosa chiedermi
Chiedo scusa di essermi dilungata tanto, ma volevo essere precisa e non so nemmeno se è possibile essere esaurienti nel descrivere certe sensazioni e poi so che ci sono problemi più gravi e che necessitano più attenzioni della mia confusione ma se qualcuno ha voglia di ascoltare un’anima che non ha il coraggio, al momento, di dire queste cose a nessuno, mi regalerete un po’ di compagnia 🙂 grazie!,

Cara Sirenella,
sei riuscita a trasmettere attraverso questa intensa lettera tutta la solitudine, ma anche la voglia di riuscire a riscattarti trovando una strada che sia finalmente la tua e non quella suggerita o imposta, utilizzando una metafora moderna, dal navigatore pre-impostato. Ma questo ti è costato tanta fatica e a volte, forse, i sensi di colpa per non aver seguito le indicazioni, ti hanno spesso fatto vacillare e, purtroppo, ci sembra che abbiano vinto loro. Ci si lascia spesso condizionare dalle opinioni e dai giudizi degli altri, ritenendo che il loro pensiero sia più efficace e giusto, è come se queste persone apparissero  sempre perfettamente adeguate, sempre prontiee con la risposta giusta. Ma in realtà non è così, solo noi possiamo sapere quale sarà la risposta giusta alle nostre domande, quale sarà la scelta migliore, si può sbagliare, ma è necessario accettare anche questo. Rischiare a nostre spese, però, comporta affrontare la frustrazione dell’errore, rimandare l’errore all’altro può farci star meglio, ma se poi guardiamo meglio utilizzando la lente d’ingrandimento delle nostre emozioni non è così, perché al fine la delusione è sempre quella, anzi forse anche più difficile da superare ed elaborare.
Sperando di esserti stati utili ti suggeriamo di scriverci ancora.
Un caro saluto!
,Sirenella, 19 anni,31-05-2013,Disagio emotivo e/o psicologico

2013-05-30T17:40:22+02:00