
La morte di Michele Merlo si sarebbe potuta evitare se solo i medici avessero dato la diagnosi corretta e prescritto la terapia giusta. A poco meno di un anno dalla scomparsa del cantante e a pochi giorni dall’incidente probatorio (2 marzo), sono i Nas dei Carabinieri a insinuare il dubbio sull’operato dei medici che hanno curato il ragazzo prima del decesso il 6 giugno, anche del dottore bolognese che visitò Mike Bird nell’ambulatorio di Continuità assistenziale di Vergato diagnosticandogli una tonsillite. Era il 2 giugno e l’artista si trovava in Emilia Romagna dalla fidanzata. Il medico era stato assolto in una fase iniziale delle ricerche.
Merlo è morto per un’emorragia cerebrale scaturita da una leucemia fulminante. Nei precedenti giorni aveva manifestato febbre, placche e mal di gola. Oltre a un grosso ematoma sulla gamba sinistra sottovalutato durante le visite ed etichettato come strappo muscolare. Sul registro degli indagati, perciò, era finito il medico curante del 28enne, Pantaleo Vitaliano, il primo a visitare Merlo.
LEGGI ANCHE: Michele Merlo, spunta un primo indagato per omicidio colposo
Secondo i Nas, secondo quanto riporta Il Corriere del Veneto, entrambi avrebbero trattato “con superficialità i sintomi suggestivi di leucemia”, ritardandone “la diagnosi compromettendo l’esito delle cure”. Esami più approfonditi avrebbero incrementato la possibilità di salvezza a una percentuale tra 77 e l’87%.