Roma – È in uscita domani, 24 aprile 2020, “Mentale Strumentale”: il nono album dei Subsonica. Può un disco registrato e completato nel 2004 trovare spazio e pubblico negli anni Venti? Evidentemente sì, anche perché il gruppo torinese – con quasi venticinque anni di carriera – può tutto. I dieci brani di “Mentale Strumentale” descrivono simbolicamente un viaggio di esplorazione nello spazio: l’album è infatti il frutto di una parentesi di ricerca e libera sperimentazione, fondamentale per la costruzione dell’identità sonora della band. Un’esplorazione intima delle possibilità e delle sfaccettature del gruppo, tra scenari sonori tratteggiati con synth analogici, percussioni esotiche, strumenti acustici e multieffetto che ha rappresentato quella svolta decisiva e silenziosa dei Subsonica, mettendo un punto sulla loro grande personalità nei decenni successivi.
Le royalties dell’album sosterranno la Fondazione Caterina Farassino, impegnata con il progetto “Respira Torino” a supportare gli ospedali di Torino e Asti, mediante la fornitura di dispositivi per l’emergenza sanitaria.
Così i Subsonica commentano il progetto:
«Non ci giriamo intorno. Era il 2004, avevamo da poco terminato il tour di “Amorematico” e pubblicato il live “Controllo del livello di rombo”.
Il rapporto con la nostra prima casa discografica si era consumato al limite del logoramento e il contratto era in scadenza. Non desideravamo rinnovarlo. Avremmo voluto creare una nostra struttura live, un nostro management e discutere da zero i termini di un nuovo accordo discografico, che chiarisse in modo inequivocabile le condizioni di piena e totale libertà artistica. Ma da contratto – firmato non senza una certa dose di ingenuità- avremmo dovuto consegnare ancora due album. O un doppio.
Decidemmo di realizzarlo strumentale.
Decidemmo che potevamo proporre al mondo i Subsonica in formato strumentale e che sarebbe stata una sfida tosta e appassionante.
Del resto strumentali erano state le nostre primissime uscite live, con Samuel intento a effettuare vocalizzi, e a suonare voci registrate su nastro. In più, in quel momento, avvertivamo, ancora nitide, le inebrianti scosse d’assestamento del terremoto provocato dai Radiohead di “Amnesiac”.
Ci chiudemmo nello studio di Piazza Vittorio, pronti a lavorare insieme giorno e notte.
Cablammo tutti gli strumenti, inclusa una buona quantità di synth analogici, percussioni, strumenti a corde, e tanti multi-effetto pronti a deformare spazi e prospettive sonore.
Insieme a noi due figure di famiglia: Gianni Condina, tecnico e assistente di studio e Ale Bavo, assistente di produzione.
Poca programmazione, tanta voglia di suonare in modo non convenzionale.
Sotto mano gli album di Brian Eno, insieme a vinili di colonne sonore italiane d’epoca e ai cataloghi di sonorizzazione del padre di Max. Cercavamo una nostra via, esplorando fuori dai confini della forma canzone, per tracciare le coordinate di un viaggio nello spazio come metafora della esplorazione di uno spazio interiore. Dagli scossoni un po’ traumatici del “decollo” fino al “rientro in atmosfera”.
Eravamo molto gasati e ispirati.
Al punto che rimanemmo delusi dal rifiuto della nostra casa discografica di allora di pubblicare quel materiale.
E l’album rimase così fermo.
Fu un momento chiave della nostra storia. Grazie a quella esperienza di ricerca, di musica d’insieme, di definizione di personalità collettiva, avevamo probabilmente individuato la chiave che ci avrebbe permesso di affrontare i decenni successivi.
Non più musicisti guidati dalle suggestioni di un produttore interno al gruppo, ma autentico organico.
Ecco la storia di questo “Mentale Strumentale” che è la sintesi del materiale scaturito da quelle due settimane.
Per anni abbiamo pensato che prima o poi sarebbe arrivato il momento adatto per fare uscire quei brani, senza schiacciarli tra un album di canzoni, l’annuncio di un tour e un progetto solista.
E la “sospensione temporale” che stiamo vivendo in queste settimane, strane e complicate, ci sembra dimensione particolarmente adatta.
È un momento di inevitabile riflessione, forse anche di immaginazione collettiva. Siamo improvvisamente tanti e tutti insieme a cercare di capire che mondo troveremo fuori dalla porta di casa quando torneremo ad uscire. Se ci sarà davvero un cambiamento, sarà dovuto esclusivamente alla capacità di slancio e all’esigenza di prospettive più aperte e coraggiose che ognuno di noi sarà in grado di coltivare.
Ecco perché pensiamo di proporre oggi, a chi ci ha sempre seguito, il resoconto di questa avventurosa esperienza, diversa per forma e densità da tutte quelle per cui siamo stati conosciuti fino ad ora.»